Il Sole 24 Ore nell’articolo di Lunedì 23 analizza, con il prezioso contributo di Anna Vizzari di Altroconsumo, le numerose forme di Virtual Value descrivendone caratteristiche e rischi e citando il Sardex come una delle poche monete realmente virtuose che “in un periodo di crisi è riuscita a dare ossigeno a diverse attività imprenditoriali, permettendo di usare la liquidità per altri scopi”.
Al di là del piacere d’esser stati “promossi” da un importante associazione come Altroconsumo l’articolo in questione, a firma di Bianca Lucia Mazzei, fa finalmente un po’ di chiarezza fra le varie valute cosidette virtuali sottolineandone le varie differenze – in alcuni casi abissali, vedasi i Bitcoins rispetto alle monete complementari – ed altre volte “sostanziali”, ovvero con un qualcosa in comune ma con modelli di gestione e di regole completamente diverse che, ovviamente, producono risultati altrettanto differenti.
In un periodo in cui si parla tanto di Virtual Value e sembrano nascerne decine al giorno (per ora la maggior parte più sulla “carta” che realmente) riteniamo doveroso ed importante che i consumatori vengano informati al meglio -riprendendo anche le parole del Prof. Fantacci, docente di Economia della Bocconi che afferma che “non basta fare una moneta complementare, bisogna che sia fatta bene” – riproponendovi l’articolo del Sole 24 Ore in questione.
Monete virtuali alla prova
di Bianca Lucia Mazzei
Le «Virtual Value» iniziano a diffondersi ma senza regole certe: è opportuno conoscerne i rischi.
Forse, in futuro, rivoluzioneranno il sistema dei pagamenti mondiali ma per ora le monete virtuali vanno utilizzate con cautela, tant’è che sia la Banca d’Italia che l’Autorità bancaria europea (Eba) sono intervenute sul tema, evidenziandone i rischi. Al di là delle differenze (anche marcate), le Virtual Value (Vv) sono strumenti elettronici che possono essere usati come mezzo di pagamento, a patto che il venditore le accetti. I loro costi sono minimi, se non assenti, ma non sono emesse o garantite né da banche centrali, né da autorità pubbliche. Secondo Bankitalia, in circolazione ce ne sono oltre 500. « Molti ci chiedono un parere sull’affidabilità delle monete virtuali – dice Anna Vizzari di Altroconsumo -. Tendiamo a sconsigliarle, perché non ci sono tutele e c’è il rischio di perdite. Non sono strumenti negativi, ma vanno regolamentati». Altroconsumo ha svolto un’inchiesta su Crevit, una moneta virtuale che veniva pubblicizzata con lo slogan “compra senza denaro”. «Abbiamo provato a usarla – continua Vizzari – ma il risultato è stato negativo: non siamo riusciti a comprare nulla e non è gratis». La virtual coin più diffusa al mondo è bitcoin. Lanciata nel 2009 da un programmatore sconosciuto (se non con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto) è una valuta decentralizzata, convertibile nelle monete normali, priva di qualsiasi garanzia statale ma ormai accettata da molti venditori online: dal discount Overstock.com, ai colossi It come Microsoft e Dell, fino al portale di viaggi Expedia (la maggior parte dei venditori non conserva però i bitcoin ma li cambia con le valute nazionali non appena li riceve). I bitcoin vengono creati online attraverso software altamente specializzati (chiamati bitcoin miners): l’incremento è però fisso e non potrà mai superare i 21 milioni. Oggi ce ne sono in circolazione circa 13 milioni. L’acquisto si effettua attraverso piattaforme di scambio (exchange) con bonifico bancario. Di solito, per evitare accuse di riciclaggio, l’exchange chiede il documento d’identità e la domiciliazione. Tranne qualche sperimentazione negli Usa, non è possibile utilizzare carte di credito. È inoltre possibile ottenere bitcoin in cambio di beni o servizi. La valuta virtuale viene quindi trasferita su un conto personalizzato (l’e.wallet o portafoglio elettronico). In tutti questi passaggi ci sono rischi di furti o di perdite. L’Eba ne ha elencati 70 e ha chiesto un intervento regolatori o da parte delle istituzioni europee. La Banca d’Italia (nell’avvertenza del 30 gennaio) sottolinea l’assenza di garanzie, la volatilità e la possibilità di utilizzo delle Vv per trasferimenti illeciti di somme. I titolari di portafogli bitcoin sono infatti anonimi anche se le transazioni sono tracciabili. Le perdite possono derivare dal fallimento o dalla chiusura delle piattaforme di scambio (come nel caso della piattaforma giapponese Mt Gox), ma anche da attacchi informatici. C’è poi il problema della volatilità che è molto alta, in quanto il valore è determinato solo dagli scambi: dai pochi millesimi di dollaro delle prime transazioni, bitcoin ha toccato il massimo di 1.200 dollari a fine 2013 per poi scendere agli attuali 291 dollari (www.coinmarketcap.com). Chi ci crede è però convinto che le valute virtuali rivoluzioneranno il sistema finanziario. «Oggi bitcoin è ancora un giocattolo, il valore della capitalizzazione è solo di 4 miliardi di dollari – dice Giacomo Zucco, 31 anni, laureato in fisica teorica e responsabile dello sviluppo del business di Greenadress, una startup che punta a rendere più sicuri i portafogli virtuali – Bisogna ridurre i rischi, ma stiamo lavorando anche sullo scambio di crediti, debiti, titoli e partecipazioni. Tutto senza intermediari. Nascerà una finanza free che permetterà di ridurre moltissimo i costi e velocizzare le transazioni. Non soppianteremo i big attuali ma li costringeremo a cambiamenti enormi». Secondo Juniper Research, società specializzata nell’analisi dei settori mobile e telecomunicazioni, quello del bitcoin rimarrà invece un mercato di nicchia anche se gli utilizzatori cresceranno: stima infatti che saliranno dal milione e 300mila del 2014 ai 4,7 milioni del 2019. Completamente diversa la filosofia della rete Sardex.net, un circuito di credito commerciale che permette agli imprenditori di pagare beni e servizi con una moneta complementare, il Sardex, il cui valore convenzionale è un euro ma non è trasformabile in valuta corrente. In pratica, alle aziende viene attribuito un conto corrente digitale attraverso cui scambiano beni e servizi. «È un mercato complementare e aggiuntivo che non sostituisce quello tradizionale», spiega Carlo Mancosu, cofondatore e responsabile della comunicazione di Sardex.net, che in Sardegna conta 2.500 imprese iscritte e 1.200 i dipendenti. «Dal 2014 il modello è stato esportato in altre sette regioni e ora sta partendo anche in Sicilia». «Sardex.net è un meccanismo che in un periodo di crisi – aggiunge Anna Vizzari – è riuscito a dare ossigeno a diverse attività imprenditoriali, permettendo di usare la liquidità per altri scopi»